La nascita della NATO

Il Simbolo della NATO
La discussione sui problemi del regolamento internazionale aveva dimostrato che i circoli dirigenti degli Stati Uniti e della Gran Bretagna si stavano allontanando sempre più dalle decisioni concordate durante la guerra e che andavano assumendo posizioni ostili all’URSS e ai paesi di democrazia popolare.

Ben presto il mondo entrò in un periodo, che fu definito di «guerra fredda», nel quale le forze reazionarie dell’imperialismo scatenarono una offensiva politica contro l’Unione Sovietica e gli altri paesi che avevano imboccato la strada dello sviluppo socialista, contro tutte le forze democratiche e amanti della pace.
Il 5 gennaio 1946 il presidente degli USA, Truman, scriveva a Byrnes: «Ai russi bisogna mostrare il pugno di ferro e parlare a voce alta. Io penso che non dobbiamo accettare alcun compromesso con loro.». Il 5 marzo 1946 nella città americana di Fulton, alla presenza del presidente Truman, Churchill fece un discorso nel quale era contenuto un invito a unirsi contro l’Unione Sovietica e la minaccia del ricorso all’arma atomica. Questo discorso, come fece notare in una intervista alla «Pravda» il presidente del consiglio dei ministri dell’URSS, Stalin, fu «un atto pericoloso destinato a seminare la discordia tra i paesi alleati e rendere più difficile la loro cooperazione. [ . . . ] Il discorso di Churchill è un discorso di guerra, è un invito alla guerra contro l’URSS».
Dopo alcuni mesi l’ispiratore della politica estera di Washington, John Foster Dulles, esponeva in un discorso gli scopi e gli obiettivi americani nei confronti dell’URSS. Dulles, così come il suo collega britannico, parlò di «minaccia» da parte dell’Unione Sovietica e invitò a contrastare la politica sovietica; egli si espresse anche a favore della creazione di un blocco di Stati ostile all’URSS.
Non si può separare la «guerra fredda» dalla strategia politica generale degli USA dopo la seconda guerra mondiale. Questa strategia era condizionata dall’intenzione dei circoli dirigenti americani di assicurare agli Stati Uniti una posizione predominante nel mondo. Gli interventi e le dichiarazioni dei rappresentanti di circoli diversi della società statunitense si susseguivano senza interruzioni: vi si affermava la necessità di assicurare agli USA una posizione dirigente sul piano mondiale, di riempire il vuoto formatosi dopo la guerra eccetera. «Noi non possiamo rifiutare le responsabilità che ci derivano dall’essere la potenza più forte del mondo», dichiarò il presidente Truman nel gennaio del 1946.
L’aspirazione degli USA al predominio mondiale doveva trovare realizzazione, secondo i circoli dirigenti americani, per vie diverse. Innanzitutto si trattava di eliminare l’URSS dalle posizioni occupate dopo la seconda guerra mondiale, di interrompere il processo di formazione di un ordinamento popolare-democratico nei paesi dell’Est europeo di fermare la crescita del movimento di liberazione nazionale nei paesi coloniali e dipendenti. Nella situazione di crescita del movimento democratico nei paesi capitalisti le forze reazionarie capeggiate dagli USA diressero tutti i propri sforzi all’eliminazione dall’arena politica dei partiti comunisti e alla distruzione delle organizzazioni democratiche, ostacolando nello stesso tempo la nascita di fronti democratici unitari.
Gli Stati Uniti contavano inoltre di approfittare dell’indebolimento dei partners imperialisti per favorire la penetrazione del capitale americano negli altri paesi, per imporvi la propria influenza e il proprio controllo.
Strumenti per il conseguimento di questi obiettivi dovevano essere la leva economica e la potenza militare americana. L’argomento «risolutivo» era rappresentato dal monopolio sull’armamento atomico. Molti personaggi ufficiali americani riconobbero che l’impiego delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki nell’estate del 1945 non era stato determinato da necessità militari ma dall’intenzione di dimostrare la «forza» degli USA. Questa fu la prima pietra posta a fondamento della «guerra fredda».
La politica dell’imperialismo americano era appoggiata dai circoli dirigenti di molti Stati capitalisti. L’imperialismo mondiale decise di attuare la politica «da posizioni di forza» che in pratica significava corsa agli armamenti, creazione di basi militari lungo le frontiere dell’URSS e dei paesi di democrazia popolare, la formazione di blocchi aggressivi diretti contro i paesi socialisti e la preparazione di nuove guerre sanguinose.
In queste condizioni l’Unione Sovietica diresse tutti i suoi sforzi contro i piani aggressivi degli imperialisti. L’URSS difese il diritto dei popoli dei paesi dell’Europa centrale e sud-orientale e dei paesi dell’Asia a uno sviluppo socialista, appoggiò la lotta di liberazione nazionale dei popoli dell’Asia e dell’Africa, ostacolò i piani di rinascita del militarismo e del revanscismo nella Germania occidentale.
Nell’opporsi ai piani della reazione mondiale e nel respingere i tentativi di pressione sui paesi di democrazia popolare che avevano imboccato la strada del socialismo, l’URSS ricercò nello stesso tempo la cooperazione con il mondo capitalista sulla base del principio della coesistenza pacifica tra Stati con regimi politici diversi.
I circoli imperialisti capeggiati dagli USA continuarono però ad attuare la politica della «guerra fredda».
Nel marzo del 1947 il presidente degli Stati Uniti Truman chiese al Congresso che venissero concessi 400 milioni di dollari per un aiuto urgente alla Turchia e alla Grecia proclamando il diritto «degli USA di intervenire negli affari interni degli altri paesi». La «dottrina Truman» era la proclamazione ufficiale della «guerra fredda» (del resto già iniziata) contro l’URSS e tutto il mondo socialista, contro il movimento democratico in tutti i paesi.
La scelta della Grecia e della Turchia quali destinatari di aiuto urgente non fu casuale poiché gli USA si proponevano di impadronirsi di posizioni strategiche importanti nelle immediate vicinanze dei confini sovietici. Il giornalista americano Walter Lippman scriveva nell’aprile del 1947: «Noi abbiamo scelto la Grecia e la Turchia non perché sono brillanti esempi di democrazia ma perché sono le porte strategiche di accesso al mar Nero, verso il cuore dell’Unione Sovietica
Non erano ancora trascorsi due anni dalla fine della guerra e già nel mondo si era creata un’atmosfera di sfiducia e di paura, la tensione internazionale si era aggravata e infuriava la corsa agli armamenti.
I dirigenti sovietici condannarono la «dottrina Truman» nella Organizzazione delle Nazioni Unite. L’URSS nello smascherare il carattere imperialista di questa dottrina dimostrò che essa aveva il significato di una violazione da parte degli USA dei principi basilari dell’ONU, che aumentava la tensione nei rapporti internazionali e costringeva i paesi socialisti a prendere misure per proteggere la propria sicurezza.
L’opinione pubblica progressista accolse negativamente l’intenzione dei dirigenti USA di intromettersi negli affari interni degli altri paesi e di creare intorno all’URSS un sistema di basi militari. L’aspetto militare della «dottrina Truman» allarmò anche molti esponenti borghesi nei paesi capitalisti.
Accolta con apprensione nei paesi dell’Europa occidentale a causa del suo indirizzo apertamente «militare», la «dottrina Truman» fu immediatamente accompagnata da un’azione più sottile da parte dei dirigenti americani. Il 5 giugno 1947 il segretario di Stato degli USA Marshall pronunciò all’Università di Harward un discorso nel quale preannunziò l’attuazione di un piano di aiuti economici per i paesi europei. Formalmente Marshall non fece alcuna esclusione parlando dei paesi d’Europa. Molto presto tuttavia risultò evidente il vero scopo del piano americano. Il governo degli Stati Uniti, nel dare il proprio aiuto agli Stati capitalisti dell’Europa occidentale, contava di rafforzare le proprie posizioni in una regione caratterizzata da una crescita del movimento democratico. Scopo degli USA era quello di impedire che il socialismo si espandesse in Europa. Nello stesso tempo gli Stati Uniti, sfruttando l’indebolimento del capitalismo europeo occidentale, aspiravano a occupare una posizione di predominio nel mondo capitalista. Il capitale monopolistico americano si proponeva di penetrare in tutta la sfera economica e politica dell’Europa occidentale. Nel complesso, nell’atmosfera creata dalla «guerra fredda», gli USA si preparavano a unire sotto la propria guida il mondo capitalista per la offensiva generale contro l’Unione Sovietica, contro tutte le forze della democrazia e del socialismo.
Il «piano Marshall» aveva anche altri obiettivi immediati. Uno di questi era la divisione all’interno dei paesi di democrazia popolare; gli USA, approfittando delle difficoltà create dalla guerra tentarono infatti di attirare nella loro orbita di influenza alcuni di questi Stati.
Alcuni osservatori giustamente hanno notato alcune somiglianze tra il «piano Marshall» e il piano «Dawes» che negli anni ’20 era stato utilizzato per trasformare la Germania in una potenza ostile all’Unione Sovietica. Per questi stessi motivi, dopo la seconda guerra mondiale la ricostruzione economica della Germania ebbe un posto importante nei piani dell’imperialismo americano. I monopoli americani contavano di portare avanti un’azione di penetrazione nell’economia tedesca per sottometterla ai propri piani aggressivi.
Nel tentativo di mascherare i veri obiettivi del «piano Marshall» i dirigenti dei paesi occidentali invitarono l’Unione Sovietica a prendere parte alle trattative che precedettero l’accettazione di questo piano. L’URSS, nel prendere in esame qualunque progetto di aiuto economico, partiva però dal principio della difesa della sovranità e dell’indipendenza dei paesi ai quali questi aiuti erano destinati. In questo caso l’Unione Sovietica smascherò il vero scopo di questo piano proposto dagli USA e dimostrò che era diretto a violare l’autonomia degli Stati europei e a rafforzare le posizioni economiche e politiche degli USA in Europa.
I problemi attinenti al piano Marshall furono presi in esame in occasione della conferenza dei ministri degli esteri dell’URSS, della Francia e della Gran Bretagna svoltasi a Parigi il 27 giugno – 2 luglio 1947. Nel progetto presentato dagli anglo-francesi sul tipo e sulle condizioni alle quali era sottomessa la concessione di aiuti era prevista la creazione del cosiddetto comitato direttivo per l’Europa, un organo che aveva il diritto di intromettersi negli affari interni degli Stati europei; gli USA ottenevano in tal modo il diritto di intervenire nella vita economica dei paesi europei.
L’Unione Sovietica respinse questo piano e propose la creazione di un Comitato di collaborazione il quale avrebbe dovuto preparare un piano di aiuti sulla base delle richieste degli Stati europei e discuterlo su un piano di parità con i rappresentanti degli USA. Le proposte sovietiche erano dirette a impedire qualunque violazione dei diritti sovrani degli Stati europei.
I rappresentanti della Francia e della Gran Bretagna dichiararono che gli Stati Uniti non avrebbero accettato alcuna condizione alla concessione di aiuti ad eccezione di quelle contenute nel progetto anglo-francese e su questa base respinsero il progetto sovietico. In definitiva rifiutarono di partecipare al «piano Marshall» URSS, Albania, Bulgaria, Ungheria, Polonia, Romania, Cecoslovacchia, Jugoslavia e Finlandia.
Il «piano Marshall» entrò in vigore nell’aprile del 1948 quando fu approvato dal congresso americano. Di fatto quasi tutta l’Europa occidentale venne inclusa nella sfera d’azione del «piano Marshall».
Nelle numerosissime convenzioni speciali che definivano il modo e le fasi in cui il piano doveva trovare realizzazione i paesi dell’Europa occidentale si assunsero una serie di obblighi che limitavano nella sostanza l’autonomia della loro politica economica. Gli Stati Uniti ebbero la possibilità di influire in certa misura sull’indirizzo e sulla struttura della vita economica dei paesi dell’Europa occidentale, sviluppando alcuni settori produttivi e frenando lo sviluppo di altri. L’aiuto americano appoggiò e sostenne lo sviluppo dell’industria diretta ai fini bellici.
Una clausola speciale obbligava i paesi dell’Europa occidentale a non esportare nell’Unione Sovietica e nei paesi di democrazia popolare merci che l’amministrazione americana dichiarava di interesse strategico. I paesi che non avessero tenuto conto di questa proibizione sarebbero stati esclusi dalla sfera d’azione del «piano Marshall».
Il «piano Marshall», ampiamente reclamizzato, poco alla volta rivelò i suoi scopi strategico-militari preparando la nascita di blocchi aggressivi e di patti militari sotto l’egida degli Stati Uniti di America.
Nel 1948-49 i circoli imperialisti aggressivi capeggiati dagli USA fecero un ulteriore passo verso l’aggravamento della tensione internazionale. Nel marzo del 1948, per iniziativa della Gran Bretagna fu istituito il blocco imperialista conosciuto sotto il nome di Unione occidentale. Vi presero parte la Gran Bretagna, la Francia, il Belgio, l’Olanda e il Lussemburgo. Anche se formalmente nel preambolo del trattato firmato a Bruxelles si parlava della necessità di prevenire una possibile aggressione tedesca, in realtà il patto era diretto contro l’URSS e i paesi di democrazia popolare. II patto introdusse un sistema di obblighi militari reciproci in caso di pericolo per uno dei membri dell’Unione occidentale. Fu istituito un Comitato di difesa dell’Unione occidentale e uno stato maggiore, a capo del quale fu messo il maresciallo britannico Montgomery. Il Comitato di difesa e lo stato maggiore si accinsero all’attuazione del programma di riarmo; furono effettuate manovre e addestramenti militari. Nasceva così un raggruppamento militare chiuso contrapposto ai paesi socialisti.
Gli Stati Uniti d’America appoggiarono immediatamente l’Unione occidentale. Nello stesso tempo gli USA completavano la pre-preparazione di una unione politico-militare tra i paesi imperialisti sotto la propria egida. Il 4 aprile 1949 a Washington veniva sottoscritto il cosiddetto patto Atlantico che dava vita a una nuova alleanza militare nella quale entrarono USA, Canada, Gran Bretagna, Francia, Italia, Belgio, Olanda, Lussemburgo, Norvegia, Danimarca, Islanda e Portogallo.
La nascita del blocco nord-atlantico (NATO) apriva una nuova fase nella politica delle potenze imperialiste capeggiate dagli USA; si trattava di una manifestazione di «guerra fredda», espressione della politica condotta da «posizioni di forza». La creazione della NATO portò a un aggravamento della tensione internazionale e rese più concreta la minaccia di una nuova guerra. Nonostante le dichiarazioni degli organizzatori della NATO, che parlavano di «obiettivi di pace», era evidente che si trattava di una alleanza aggressiva creata allo scopo di preparare la guerra contro l’URSS e i paesi socialisti.
Gli organizzatori della NATO nel primo articolo del trattato del nord-atlantico si richiamavano ai principi e agli scopi delle Nazioni Unite. L’istituzione dell’alleanza, gli scopi e il carattere del patto erano invece in completa contraddizione con quelli dell’ONU.
L’Unione Sovietica condannò con risolutezza i piani aggressivi dei circoli imperialisti. L’URSS, in occasione della preparazione dell’Unione occidentale, aveva inviato una nota ai governi degli USA, della Francia e della Gran Bretagna nella quale avvertiva che la Unione occidentale, insieme con il «piano Marshall», avrebbe portato alla divisione politica dell’Europa e minacciava di fare della parte occidentale della Germania una base per una futura aggressione in Europa.
Una condanna ancor più decisa fu espressa dall’Unione Sovietica in occasione della nascita della NATO. Il 29 gennaio 1949 l’URSS in una dichiarazione ufficiale metteva in evidenza la vera essenza del nuovo blocco militare. Nella dichiarazione sovietica era detto chiaramente che lo scopo del blocco militare era quello di instaurare il predominio mondiale anglo-americano sotto l’egida degli USA, che questo blocco era in contraddizione con lo statuto dell’ONU e con i trattati conclusi in precedenza tra USA, Gran Bretagna, Francia e Unione Sovietica. La nota conteneva anche un avvertimento per quegli Stati che i dirigenti americani avevano coinvolto nel blocco mettendo in chiaro che la loro partecipazione alla NATO danneggiava la loro autonomia e li sottometteva ai piani aggressivi degli organizzatori del blocco. Il governo sovietico inviò singole note ad alcuni paesi. Per esempio, nella nota inviata al governo italiano era detto che l’ingresso dell’Italia nella NATO costituiva una aperta violazione del trattato di pace. L’URSS si rivolse anche ai governi della Norvegia, della Danimarca e della Svezia sottolineando il carattere aggressivo della NATO e chiedendo a questi paesi di chiarire se si apprestavano a creare sui rispettivi territori basi militari della NATO. Il governo sovietico dichiarava a tale proposito che non poteva restare indifferente di fronte ai piani del blocco aggressivo della NATO che comportavano una immediata minaccia ai confini dell’Unione Sovietica.
In risposta a questa nota il governo norvegese assicurò che non si apprestava a fornire basi sul proprio territorio per forze armate di potenze straniere; il governo danese affermò che non avrebbe dato il proprio consenso all’attuazione di una tale politica diretta contro l’URSS; infine, il governo svedese rifiutò di entrare a far parte del blocco nord-atlantico.
La lotta attiva dell’Unione Sovietica contro la politica aggressiva delle potenze imperialiste smascherò i loro veri scopi e contribuì alla mobilitazione dell’opinione pubblica contro la politica dei blocchi e contro la corsa agli armamenti.
La «dottrina Truman» e la nascita del blocco nord-atlantico furono le componenti della «guerra fredda». La «guerra fredda» accanto a provvedimenti politici, militari ed economici comprendeva anche un vasto complesso di misure ideologiche. Proprio in quegli anni fu elaborata e messa in pratica la «dottrina» che doveva dare fondamento teorico alla «guerra fredda» e dare una base ideologica alla politica delle potenze imperialiste. Nel 1946 in USA venne elaborata la cosiddetta dottrina del «contenimento del comunismo» che rifletteva la paura dei circoli imperialisti di fronte all’enorme crescita di autorità dell’Unione Sovietica e di fronte alla crescita del movimento democratico e di liberazione.
Proprio in quegli anni si andarono elaborando nell’arsenale ideologico dell’imperialismo gli stereotipi e le parole d’ordine dell’anticomunismo. La dottrina del «contenimento del comunismo» fu posta a fondamento delle azioni dei circoli che si erano dedicati alla formazione di blocchi aggressivi e alla repressione dei movimenti democratici in varie regioni del mondo.
Alla base della politica delle potenze imperialiste del periodo della «guerra fredda» c’era il concetto della forza. In molte dichiarazioni programmatiche dei rappresentanti dei circoli dirigenti americani di quei tempi troviamo ripetutamente affermazioni sulla necessità di «mostrare la propria forza ai russi» e di attuare una «politica da posizioni di forza». Il segretario di Stato USA, Dean Acheson, dichiarò per esempio che l’unica strada possibile per gli Stati Uniti nei rapporti con l’Unione Sovietica e gli altri paesi socialisti era la «creazione di situazioni di forza».
Tuttavia, i piani della reazione mondiale fallirono. Gli Stati Uniti non riuscirono a indebolire e a isolare l’URSS. Come abbiamo già detto in URSS si andava ricostruendo l’economia e si venivano attuando piani per un nuovo sviluppo economico. Era finita la fase delle trasformazioni democratiche e ci si accingeva al passaggio alla edificazione del socialismo in una serie di paesi dell’Europa orientale e centrale. Il mondo del socialismo consolidava le sue forze e si rafforzava economicamente e politicamente.
L’Unione Sovietica privò gli Stati Uniti anche della sua arma principale nella «guerra fredda», il monopolio atomico. Il 25 settembre 1949 la TASS dava notizia degli esperimenti atomici in atto nell’URSS. La dichiarazione della TASS riferiva anche che l’URSS continuava a essere schierata sulle antiche posizioni a favore di un divieto incondizionato di utilizzazione della bomba atomica.
Crollava anche il mito dell’«invulnerabilità» degli Stati Uniti in caso di conflitto, John Foster Dulles riconobbe successivamente che la costruzione della bomba atomica da parte dell’URSS fu un grande successo: «L’URSS ha posto rapidamente fine al nostro monopolio sull’armamento atomico e ha cambiato radicalmente la situazione a suo favore. La possibilità per gli USA di lanciare un attacco atomico contro l’Unione Sovietica è stata in notevole misura equilibrata dalla possibilità per l’URSS di dare una risposta atomica».
Fu sconfitto anche il tentativo delle forze reazionarie di colpire a morte i partiti comunisti dei paesi capitalisti, il movimento operaio e democratico. Nonostante i feroci attacchi della reazione le forze progressiste resistettero all’attacco e continuarono la loro lotta contro la politica di reazione e di guerra, per l’emancipazione sociale e nazionale. Le forze della reazione non riuscirono d’altro canto a frenare lo slancio del movimento di liberazione nazionale e il processo di disgregazione del sistema coloniale dell’imperialismo.
Gli Stati Uniti non riuscirono nemmeno a sottomettere completamente le potenze europee alla politica dell’imperialismo americano. Come c’era da attendersi, la politica dell’imposizione e della pressione generò provvedimenti di risposta, il desiderio di liberarsi di questa dipendenza. Rinnovata e ricostruita l’industria, molti paesi capitalisti dell’Europa occidentale e il Giappone intensificarono i ritmi di sviluppo economico.
La legge della irregolarità dello sviluppo capitalista si manifestò nell’aggravarsi delle contraddizioni tra i paesi imperialisti.
Le forze dell’imperialismo non riuscirono perciò a raggiungere il loro obiettivo principale, non riuscirono cioè a impedire il mutamento dei rapporti di forze nell’arena mondiale, un mutamento che andava a favore del socialismo, e a evitare l’indebolimento generale del sistema capitalista.